Quante volte nel nostro ruolo di insegnanti, educatori, volontari, allenatori ci troviamo ad incontrare ragazzi difficili, prepotenti, aggressivi, provocatori, violenti, maleducati? Nel gruppo assumono il ruolo di leader negativi, sottomettono gli altri, non seguono le regole, insultano gli adulti. Alcuni di loro sono così impossibili da gestire che è proprio difficile costruire una relazione: viene voglia di additarli, punirli, allontanarli o sospenderli.
Ma qual’è la vera identità di questi bulli?
I ragazzi che si prestano ad assumere il ruolo del cattivo del gruppo sono in realtà anime fragili, impaurite dalla possibilità di essere a loro volta sottomessi. Sentono la necessità di attaccare, difendersi, opprimere, soggiogare ancor prima che accada qualsiasi cosa.
Coloro che da fuori appaiono come crudeli e maligni sono in realtà ragazzi sottoposti a forme di pressione, sopraffazione e violenza. Con i loro comportamenti denunciano ciò che provano, facendo sentire all’altro quello che loro stessi soffrono. Non è facile riconoscere e osservare questo triste scenario che si agita dentro la testa dei ragazzi, di certo riusciamo a cogliere la loro voglia di sfidare e i loro comportamenti scorretti, ma ipotizzare quello che attraversa la loro mente non è capacità di tutti.
In che modo può comportarsi un buon educatore?
È importante che chi decide di assumere un ruolo di educatore (insegnante, maestro, allenatore, capo gruppo scout…) faccia propria questa capacità di vedere oltre, di ipotizzare i retroscena, guardare altrove rispetto alle facili idee stereotipate che sono a disposizione di tutti.
Possiamo iniziare ad esempio facendoci alcune domande: cosa si nasconde dietro questo ragazzo così aggressivo? Da cosa nascono questi atteggiamenti irrispettosi? Dove sorge la voglia di andare a priori contro le regole?
Prima di sospenderli, allontanarli dal campo, buttarli fuori dalla squadra, comunicare ai genitori che non potranno venire in gita, fermiamoci a pensare. Non cadiamo nel tranello di definire o etichettare uno o più ragazzi come “mele marce”, non crediamo alla facile illusione che eliminando loro avremo risolto la situazione. Se elimino il soggetto difficile dal gruppo non solo non avrò in nessun modo bonificato il gruppo perché i ruoli girano, ma soprattutto non ho raggiunto nessun obiettivo educativo. Smettiamola di cercare il colpevole: emarginare e dichiarare un ragazzo indesiderato significa perderlo per sempre.
Proviamo a guardare ai comportamenti scorretti come ad un segno, un messaggio, una richiesta di aiuto che il ragazzo ci sta facendo. Dare un significato a questo messaggio è il punto più importante del lavoro educativo
Come facciamo a dare un significato ai comportamenti prepotenti?
Per fare ciò è importante non essere soli: una persona singola farà molta fatica. Serve un gruppo: il corpo docenti, gli allenatori e i dirigenti della società, l’insieme dei volontari, il team degli adulti. Solo in gruppo si può affrontare la complessità del disagio dei ragazzi. Le prepotenze, i comportamenti scorretti; le fatiche dei ragazzi vanno esplorate all’interno di un gruppo pensante fatto di persone con esperienze e competenze diverse che grazie all’eterogeneità dei loro saperi, storie e provenienze possano dare voce ai vissuti muti che si nascondono dietro le apparenze. Il comportamento inadeguato degli adolescenti è un fare che sostituisce la possibilità parlare: dare la parola ai ragazzi, ascoltarli, osservarli è il punto di partenza. Nessuno nasce cattivo, ma essere esposto a contesti disfunzionali rende ognuno di noi aggressivo. Evitiamo di rispondere a rabbia con rabbia, offriamo alternative possibili.