Un lutto, la morte improvvisa di una persona cara, un incidente stradale, la fine di una relazione importante, una diagnosi infausta e tanto altro. Il nostro cervello ha bisogno di tempo per recuperare dopo l’impatto con un evento traumatico. Le variabili che influiscono sul tempo necessario per ritrovare un nuovo equilibrio sono eterogenee e mutevoli: lo stesso evento può avere un impatto diverso non solo su persone differenti ma anche sulla stessa persona, sulla base del momento della vita in cui accade. Supporto familiare e sociale, esperienze vissute, carattere: alcune persone tendono a ritenere che ciò che di buono accade loro dipenda in larga parte da esse stesse, altre ritengono che per quanto loro possano impegnarsi per migliorare le situazioni, sia principalmente dall’esterno che giungono le influenze che direzionano la qualità della loro vita. La differenza tra le due posizioni mentali si traduce, in caso di trauma, in un comportamento più attivo che porta a maggiori probabilità di rialzarsi dopo un urto della vita, soprattutto nel caso in cui le persone pensano al proprio benessere contando sulle proprie risorse interiori. Ci sono allora predisposizioni mentali che aiutano ed altre che ostacolano la naturale elaborazione dei traumi. Esistono dei pensieri “amici” e dei pensieri “nemici”. Il primo passo mentale da fare è renderci conto che non possiamo cambiare quello che è successo. Non possiamo riavvolgere il nastro e cambiare, ad esempio, l’esito di un incidente stradale o di un lutto. Non accettare quello che è successo significa rimuginare ipotesi che non troveranno mai risposta. “E’ colpa mia”, “Se avessi detto questa cosa probabilmente lui non avrebbe fatto…”, “Se mi fossi accorta prima che…”. Non potendo cambiare l’evento queste convinzioni portano solo al perpetuarsi della sofferenza. Altri pensieri che non aiutano sono quelli legati al concetto di perdita del controllo: “Sento di non avere più il controllo su nulla”, “Il mondo è completamente imprevedibile”. Un altro gruppo di pensieri disturbanti che non ci aiutano a superare quello che è accaduto sono quelli sulla mancanza di sicurezza: “Sono vulnerabile”, “Potrebbe succedermi di tutto”, “Mi sento in pericolo costante”. I pensieri amici sono quelli centrati sul qui ed ora, su cosa posso fare attivamente per migliorare le mie condizioni attuali, e cosa può procurarmi sollievo dalla sofferenza. La sfida è quella di come imparare ad accettare quello che è accaduto e focalizzarsi sulla gestione delle nostre emozioni. Proviamo a centrare l’attenzione su quello che possiamo fare più che sugli eventi che non possiamo cambiare. Non possiamo evitare di soffrire, ma possiamo decidere noi il livello di sofferenza.